In tutto il mondo, nonostante le centinaia di studi scientifici in vitro e su animali che testimoniano le potenzialità antitumorali della cannabis, non è ancora stato avviato uno studio clinico che indaghi a fondo questi risultati, aumentano i case report di singoli pazienti che ne testimoniano le potenzialità.
L’ultimo in ordine di tempo è quello di un paziente inglese 81enne, che, dopo aver rifiutato di seguire i trattamenti tradizionali, ha deciso di assumere olio di cannabis ad alto valore di CBD per trattare il proprio cancro al polmone.
Il risultato straordinario, riportato dai medici che l’hanno in cura sulla rivista scientifica Sage Open, è che non solo il tumore non è progredito, ma che le sue dimensioni si sono dimezzate. “I dati presentati indicano che il CBD può aver avuto un ruolo nella risposta straordinaria in un paziente con adenocarcinoma istologicamente provato al polmone – si legge nello studio – a seguito dell’auto-somministrazione dell’olio di CBD per un mese e in assenza di qualsiasi altro cambiamento identificabile nello stile di vita, farmaci assunti o cambiamento della dieta. Sono necessari ulteriori studi sia in vitro che in vivo per valutare meglio i vari meccanismi di azione del CBD sulle cellule maligne e la sua potenziale applicazione nel trattamento non solo del cancro del polmone ma anche di altri tumori maligni”.
Se da una parte la cannabis viene oggi utilizzata per trattare i sintomi di questa patologia come dolore, inappetenza, nausea e insonnia, il potenziale antitumorale di diversi cannabinoidi sull’uomo rimane inesplorato. Massimo Nabissi, ricercatore italiano che da tempo si dedica a questa tematica, ha spiegato a Fanpage.it: “Oramai lo studio dei cannabinoidi per le loro proprietà anti-cancerogene è una realtà, ed è assurdo che ci sia una mentalità così restrittiva: sul tumore al polmone, alla mammella, alcuni dati sul pancreas, sul tumore cerebrale e sul mieloma, di studi pre-clinici ce ne sono almeno un centinaio, sempre più dettagliati: quello che manca è la ricerca clinica eseguita sui pazienti”.
“Con una mole di lavori preclinici così ampia”, continua Nabissi, “non si capisce perché non vengano autorizzati i primi studi clinici. Bisognerebbe prendere le evidenze interessanti, fare un ultimo lavoro preclinico con dei parametri, in modo che, se i risultati sono buoni, si possa passare alla ricerca clinica con delle linee guida decise a priori”.
Intanto la ricerca scientifica, per lo meno quella su cellule e cavie animali progredisce. Oltre all’apoptosi, e cioè una forma di morte cellulare programmata delle cellule del cancro, di recente è stato dimostrato che il CBD inibisce il rilascio di certe strutture delle cellule tumorali, resistenti agli agenti chemioterapici e che favoriscono il cancro.